ELIMINIAMO IL VINCOLO. NON HA PIU SENSO ALCUNO...

03-07-2014 13:24 -

Un calcio al business
di MASSIMO MAZZITELLI
Vogliamo riformare il calcio? Cominciamo allora a "liberare" i calciatori. Cominciamo a togliere business, mercanti (improbabili procuratori) e dirigenti affaristi che gravitano intorno alle scuole calcio e ai settori giovanili di tutti i livelli. Eliminiamo il vincolo dilettantistico che imprigiona un giovane calciatore dilettante sino ai 25 anni con una società facendo di ragazzini dai 14 ai 16 anni assegni circolari per procuratori. Proviamo a rimettere al centro del campo lo sport, il divertimento, i sogni di un ragazzo, la gioia e l´orgoglio di aver contribuito alla crescita di un campione. O la voglia di giocare ancora a 23 o 24 anni solo per passione.
Basta andare a vedere una qualsiasi partita Allievi in giro per l´Italia per trovare a bordo campo una miriade di personaggi: c´erano anche una volta, ma erano i "mitici" osservatori, quelli che scrivevano, litigavano tra di loro sul destro di un ragazzo e facevano a gara ad individuare il vero talento. Poi partiva la telefonata alla società importante amica. Il compenso? Poter dire: "Quello l´ho scoperto io" e poter parlare nel paese o nel quartiere a nome di club come Juve, Inter, Roma... Il loro posto è stato preso da "procuratori" dalla promessa facile. Basta un dribbling fatto bene per aprire il vaso dei sogni di un ragazzo di 14 anni: arrivano promesse di sicuri approdi alle grandi squadre e grandi ingaggi che spesso restano appunto solo promesse.
Ma interessa poco che quel ragazzo possa diventare un campione, perché è già un business che può valere decine di migliaia di euro. Lo chiamano premio di formazione ed il principio è anche giusto: riconoscere alla società che ha formato il calcisticamente il ragazzo un premio per il lavoro svolto. La stortura è che ora è diventato un business e per l´Italia girano eserciti di ragazzini che non avranno mai la minima possibilità di giocare tra i professionisti. A interessare sono quei trentamila euro di premio di formazione, non capire o accompagnare quel ragazzo nella crescita. E per non sbagliare o rischiare di lasciarsi scappare l´eventuale fenomeno scattano contratti o vincoli che rischiano di travolgere la passione. Per decenni il calcio italiano è stato all´avanguardia nel mondo e i nostri campioni arrivavano da oratori o da piccole squadre dove l´allenatore e il presidente tutti i giorni insegnavano calcio solo per passione e non per fare business sulla pelle di ragazzi appassionati. E´ proprio anacronistico ritornare a quel mondo? Non possiamo lasciare il business fuori dai settori giovanili e dalle società dilettantistiche? Siamo sicuri che il sistema non crollerà perché il motore più forte e pulito nello sport rimane sempre la passione.